Onorevoli Colleghi! - Come è noto, i Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno dichiarato che la guerra in Iraq si è resa necessaria a causa del possesso, da parte del regime iracheno, di armi di distruzione di massa di varia natura: atomica e nucleare, chimica, batteriologica. Su tale aspetto l'ONU aveva condotto delle ispezioni nel Paese mediorientale, durate diversi anni. Tali ispezioni, che a detta degli ispettori nelle settimane prima della guerra erano state condotte con una collaborazione del regime iracheno, e che poi sono state interrotte dall'inizio del conflitto, non hanno portato ad alcuna conclusione tale da giustificare l'attacco armato. L'Amministrazione degli USA, in sede di Consiglio di sicurezza, presentò quelle che definì come «prove» del possesso o della costruzione di armi non convenzionali da parte dell'Iraq. Tali elementi furono giudicati insufficienti dagli stessi responsabili delle ispezioni ONU e dal Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Il Governo del Regno Unito, inoltre, produsse una relazione, che fu presentata come prova inconfutabile, la quale successivamente si rivelò essere in larga parte il frutto degli studi di un ricercatore riferiti al periodo del primo conflitto iracheno e quindi risalenti a più di dieci anni prima.
Sono passati ormai tre anni dalla fine della guerra in Iraq e le forze anglo-americane occupano il Paese (lo stesso Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003,
1) nella 242a seduta del Senato della Repubblica il 25 settembre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri ad interim intervenendo per comunicazioni sulla questione irachena e sul Vertice di Pratica di Mare testualmente affermò: «Il problema che è posto oggi davanti alla comunità internazionale è chiaramente definito. Si tratta di disarmare un regime politico dittatoriale, quello dell'Iraq, che ha, sin qui, bellicosamente oltraggiato le decisioni delle Nazioni Unite sul controllo dei propri sistemi d'armamento, compresi quelli, ormai prossimi,
2) il 16 ottobre 2002 (in occasione della visita di Stato in Russia il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe ad esprimere pubblicamente la propria convinzione della inesistenza in Iraq di armi di distruzione di massa, provocando sconcerto tra gli osservatori e gli analisti politici al punto che il direttore de Il Foglio ebbe a scrivere, tra l'altro, sul quotidiano: «Compiacere Vladimir Putin può essere piacevole, soprattutto se si vuole a ogni costo essere compiaciuti, ma dimenticare un discorso parlamentare impegnativo come quello rivolto dal Cavaliere alla Camera dei deputati non è cosa saggia»;
3) successivamente il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe a correggere tale dichiarazione sostenendo che si trattava di un parere personale, ma ancora una volta sollevando critiche diffuse (per tutte editoriale a firma U.T. su Il Sole 24 ore del 17 ottobre 2002: «Quello che l'Iraq sia ormai disarmato è solo un parere personale. Un diritto che può vantare il leader di un partito, l'imprenditore, il Presidente del Milan, il cittadino. Ma il Presidente del Consiglio non ha pareri personali: soprattutto quando è anche Ministro degli esteri e ancor di più quando è all'estero. Il suo è il parere di un Paese intero»;
4) ancora, il Presidente del Consiglio dei ministri nell'Aula del Senato della Repubblica il 19 febbraio 2003, tornò parzialmente alle sue originarie argomentazioni: «Naturalmente tutti ci rendiamo conto che è impossibile andare a cercare il classico ago nel pagliaio in un Paese più grande della Francia, soprattutto tenendo conto che non si cercano soltanto missili con testate nucleari, che probabilmente davvero non ci sono, ma armi biologiche o chimiche che possono essere terribili anche in piccole quantità. Le domande cui sinora l'Iraq non ha risposto sono: dove sono andate a finire le 6.500 bombe a testata biologica, la cui esistenza era stata verificata dagli ispettori nel 1999; dove sono andate a finire le 100.000 tonnellate di agenti chimici da utilizzare per la realizzazione di bombe chimiche e biologiche; dove sono andati a finire gli 8.500 litri di antrace, di cui si sa per certa l'esistenza». Analoghe argomentazioni erano state ribadite nella seduta del Senato della Repubblica del 19 marzo 2003 e in un intervento sul quotidiano Il Foglio riportato nel sito INTERNET del Governo italiano. Alla Camera dei deputati, il 6 febbraio 2003, il Presidente del Consiglio affermò inoltre che «Il popolo iracheno e la comunità internazionale sono di fronte alla sfida di un regime - testimoniata con tragica eloquenza da dieci anni di storia, dalle reazioni plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto Powell di ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e per il mondo». E che occorreva «convincere il dittatore iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa» dando quindi credito al rapporto del Segretario di Stato USA Colin Powell, rapporto contestato in sede di Consiglio di sicurezza dai capi ispettori dell'ONU e dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AEIA) Blix ed El-Baradei;
5) era poi emersa la vicenda di un falso dossier sul presunto acquisto da parte dell'Iraq di consistenti quantitativi di uranio; tale documentazione era stata utilizzata
6) dopo la pubblicazione delle prime notizie di stampa su tale vicenda il direttore del settimanale Panorama (organo di informazione che rientrava nelle società controllate dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri) intervenne rivelando il ruolo centrale avuto dal periodico relativamente al falso dossier e dichiarando in una intervista a La Repubblica del 20 luglio 2003: «È andato tutto come ha già raccontato Elisabetta Burba. Ha avuto quei documenti da una sua fonte, me li ha fatti vedere, abbiamo fatto le verifiche. Lei è andata anche in Niger, io ho preso contatti con l'ambasciata americana, per avvertirli che lei sarebbe andata a portare il dossier», e alla domanda sul perché della scelta dell'ambasciata americana e non dei servizi segreti italiani risponde: «Gli Stati Uniti erano impegnati nella ricerca delle armi irachene di distruzione di massa, sembrava la scelta più logica»;
7) dalle dichiarazioni del dottor Rossella risultava che tale dossier fu consegnato all'ambasciata americana nel mese di ottobre 2002; in realtà, ben prima di questa data, emergeva che in diverse sedi la notizia del presunto traffico di uranio era già nota, tant'è che l'ex ambasciatore americano in Gabon Joseph Wjlson, nel febbraio del 2002, veniva inviato in Niger per esaminare la veridicità delle informazioni pervenute;
8) è fatto notorio e storicamente accertato che la decisione di attaccare militarmente l'Iraq sia stata determinata dalla asserita presenza di armi chimiche e batteriologiche pronte all'uso e dalla minaccia della realizzazione di un programma di riarmo nucleare; è altrettanto noto che sia gli ispettori ONU che dell'AEIA, manifestarono costantemente la necessità di proseguire le ispezioni sottolineando la disponibilità del regime iracheno alla cooperazione;
9) anche l'appoggio italiano alla coalizione militare a guida USA fu determinato da tali circostanze come esplicitamente dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri sempre nella seduta del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2003: «Gli Stati Uniti non resteranno soli nell'impresa di impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa in mano a chi ha già violato così cinicamente la legalità internazionale e non esiterebbe a mettere a rischio la sicurezza anche dei nostri cittadini, come peraltro ha già fatto nei confronti del suo stesso popolo. Per questi motivi il Governo ha autorizzato, secondo i trattati bilaterali e lo spirito delle alleanze liberamente contratte dall'Italia e ribadite nel tempo da tutti i suoi Governi, anche dagli ultimi Governi di centro-sinistra, tutte le misure necessarie ad assicurare dal punto di vista logistico la possibilità della pressione militare sull'Iraq»;
10) a meno di un anno dalla conclusione del conflitto, di fronte alla crescente richiesta di chiarimenti da parte delle pubbliche opinioni e di fronte alle dichiarazioni rese dall'ispettore statunitense David Kay, i Governi degli Stati Uniti d'America e del Regno Unito avevano deciso di dare vita a commissioni di inchiesta sui fatti che si riteneva avessero portato i servizi di intelligence a fornire informazioni errate o deliberatamente manipolate.
Dalla essenziale cronologia riportata è quindi di tutta evidenza che anche il Governo italiano dell'epoca, oltre ad altri soggetti pubblici o privati, ha avuto un ruolo importante in questa complessa vicenda ed è altresì noto che sino ad ora nessuna seria attività di inchiesta è stata condotta sui fatti descritti e sulle conseguenti decisioni assunte; da qui l'esigenza di fare finalmente chiarezza al fine di dissipare
Onorevoli Colleghi, in una situazione in cui in Iraq non è garantita la sicurezza, l'obiettivo di realizzare «il diritto del popolo iracheno di determinare liberamente il proprio avvenire e di avere il controllo delle proprie risorse naturali», menzionato dalla citata risoluzione ONU n. 1483 del 2003, appare assai incerto e lontano nel tempo, e l'Italia è diventata e continua ad essere «potenza occupante», con un contingente militare sotto il comando anglo-americano, è fondamentale per il Parlamento e per il Paese sapere se è stata raccontata tutta la verità sul conflitto, sulle sue cause e sul suo svolgimento, ma soprattutto sul ruolo che l'Italia e il Governo allora in carica hanno ricoperto.
Per questi motivi si ritiene urgente e importante avviare anche in Italia una inchiesta parlamentare, così come è avvenuto altrove. La presente proposta di legge istituisce a tale fine una apposita Commissione parlamentare di inchiesta.
Scoprire la verità su quanto avvenuto è nell'interesse del Paese e della credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini italiani e di quelli del resto del mondo.